Il convertitore di coppia [4° parte]

 

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Con questo articolo, siamo arrivati alla quarta ed ultima parte del nostro discorso sul convertitore di coppia. Prima di augurarvi buona lettura, ci auguriamo che siano state di vostro gradimento le precedenti parti; in caso contrario o se voleste ulteriori approfondimenti e/o spiegazioni, non esistate a contattarci!


EVOLUZIONE DELLA SPECIE

Non è tutto rose e fiori: in virtù del suo funzionamento, un convertitore di coppia non raggiunge mai il 100% di efficienza. Anche con la presenza dello statore; anche montando il famigerato statore sulla ruota libera. Intanto, minima parte dell’energia è assorbita dallo statore Cambio Automaticostesso; ma buona parte dell’energia dispersa è assorbita proprio dalle palette della turbina, per essere dissipata poi sotto forma di calore. Questo è un fenomeno inevitabile: la geometria delle palette della pompa, della turbina e dello statore è infatti cruciale perché l’effetto di moltiplicazione della coppia si verifichi.

Come tale, per il principio molto poco scientifico della coperta di Linus, è necessario trovare un compromesso tra l’efficienza di funzionamento e la capacità di erogare una forza motrice maggiore in fase di spunto. Per ovviare a queste perdite di energia dovute al funzionamento del convertitore di coppia e, di conseguenza, incrementare ulteriormente l’efficienza di marcia, dagli Anni ’80 ad oggi le vetture con cambio automatico sono dotate sempre più spesso del cosiddetto “blocco del convertitore” (o “Torque Converter Clutch” in Inglese). Il blocco del convertitore è costituito da un disco frizione solidale alla turbina e che, in base a delle condizioni calcolate e stabilite dalla centralina del cambio, blocca la turbina stessa contro la camera del convertitore di coppia trasmettendo la forza motrice non più per effetto del fluido ma per effetto di una giunzione meccanica tra volano e cambio. Viene quindi bypassato l’effetto del giunto idraulico, non si tiene più conto delle perdite del convertitore di coppia e vi sono grandi vantaggi soprattutto in termini di consumi di carburante.


COME ABBINARLI

Questo paragrafo, di per sé, rappresenta più un esercizio; però è utile per concludere a 360° il discorso sul convertitore di coppia. Sappiate infatti che se voleste progettare un’automobile con trasmissione automatica o semplicemente voleste sostituire il convertitore di coppia della

Statore del convertitore di coppiavostra auto con uno differente, esiste un vasto insieme di parametri da tenere da conto: la curva di erogazione del motore, il peso del veicolo, l’utilizzo prevalente dell’automobile in questione, l’efficienza di marcia che si vuole avere e molto altro ancora.

Tutti questi parametri vanno inseriti nell’equazione e vanno abbinati a quelli che sono i due attributi fondamentali del convertitore di coppia: il regime di stallo e il rapporto di moltiplicazione della coppia. Il regime di stallo, come abbiamo già detto, è dato dalle caratteristiche di progettazione della pompa e della turbina; il rapporto di moltiplicazione, invece, è dato dalle qualità dello statore. Semplificando anche qui per evitare di dilungarsi troppo, in generale il rapporto di moltiplicazione deve essere tanto più alto quanto è più elevata la massa del veicolo da spostare; il regime di stallo, invece, deve essere tanto più elevato quanto più “in alto” è spostata la curva di erogazione del motore del veicolo che stiamo considerando.


E OGGI?

E oggi torniamo all’inizio dell’articolo: sembrava infatti che, nel 21° secolo, i cambi automatici tradizionali con convertitore di coppia e rotismi epicicloidali sarebbero dovuti scomparire, per lasciare il posto dapprima alle trasmissioni robotizzate (cambi meccanici, cioè, azionati da ZF 8HPattuatori elettro-idraulici) e poi ai cambi a doppia frizione. Tuttavia, il progresso tecnologico, l’evoluzione dell’elettronica di bordo e lo sviluppo di motori con valori elevati di coppia motrice nella parte bassa del contagiri hanno fatto sì che la soluzione “tradizionale” venisse rivalutata.

I cambi automatici moderni, infatti, sono caratterizzati da due peculiarità principali: la prima è quella di poter far intervenire il blocco del convertitore sin dalla prima marcia per massimizzare il rendimento. La seconda proprietà risiede proprio nel regime di stallo (ricordate quando vi abbiamo detto di aspettare e leggere più avanti?): grazie infatti soprattutto all’avvento dei turbocompressori e al loro utilizzo su larga scala, è stato possibile spostare “in basso” il regime di coppia massima dei propulsori e, conseguentemente, è stato possibile abbassare il regime di stallo, riducendo l’effetto di slittamento e massimizzando il rendimento a tutto vantaggio dell’ecologia e dell’economia di marcia. In aggiunta a questo, il progressivo aumento del numero dei rapporti del cambio è stato un fattore determinante per ridurre i consumi; però di questo parleremo più avanti in un altro articolo dedicato al funzionamento delle trasmissioni automatiche.

<— TERZA PARTE

Autore dell'articolo: Leonardo Stefanini

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